"Selma - La strada per la libertà"

MARTEDì 17 NOVEMBRE 2015

di Ava DuVernay. Con David Oyelowo, Tom Wilkinson. Gran Bretagna 2014. 127’


Sono passati appena 50 anni dai fatti di Selma. Ma quella che il film evoca è una storia assai più lunga di lutti, dolori, umiliazioni, rassegnazione. Se la marcia della riscossa della popolazione nera ebbe inizio nel Sud razzista e schiavista, essa si sarebbe nutrita anche della “grande migrazione” dal Sud  verso il resto degli Stati Uniti. 
Nella primavera del 1965 una serie di eventi drammatici cambiò per sempre la rotta dell’America e il concetto moderno di diritti civili, quando un gruppo di coraggiosi manifestanti, guidati dal Dr. Martin Luther King Jr., per tre volte tentò di portare a termine una marcia pacifica in Alabama, da Selma a Montgomery, con l’obiettivo di ottenere l’imprescindibile diritto umano al voto. Gli scontri, la trionfante marcia finale e il passaggio del Voting Rights Acts del 1965 che seguirono sono ora un’incancellabile parte della storia. Ma la storia assolutamente rilevante e umana di Selma – dalle battaglie politiche negli uffici del potere, alla determinazione e alla fede della gente nelle strade, alla battaglia interiore che il Dr. King ha dovuto affrontare nel privato – non era mai stata raccontata sullo schermo.



2 commenti:

  1. Commento a caldo: film bello e interessante! Ricorda come l’odio razziale sia veramente dietro l’angolo della nostra storia e come anche popoli democratici non ne siano immuni. Soprattutto rappresenta bene l’idealità, la spiritualità e anche la fine strategia politica di M. L. King. Molto ben descritto anche il suo dramma familiare e il rapporto tenero e forte con la moglie. Tra tutte le scene quella migliore è secondo me quella in cui King blocca la marcia e si inginocchia a pregare: ha mostrato il suo volto di leader spirituale guidato da un’ “ispirazione” più grande rispetto alla semplice strategia politica.

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  2. La recensione di Enzo Riccò:

    Selma – La strada per la libertà di Ava DuVernay

    Migliaia di manifestanti si incamminano fianco a fianco sul ponte che attraversa il fiume Alabama presso la città di Selma. L’uomo che è alla testa del corteo si ferma inginocchiandosi improvvisamente sulla strada. Così fanno tutti quelli che lo seguono in un lungo momento di attesa silenziosa.
    E’ una scena - chiave del film “Selma” che narra la vicenda delle marce promosse dagli afro-americani dello Stato dell’Alabama nel 1965. Motivo della contestazione pacifica è l’impossibilità dei cittadini neri di andare al voto, pur avendone diritto, per gli ostacoli burocrati imposti dai bianchi.
    L’uomo che è inginocchiato, al centro del ponte, è il pastore protestante nero che pochi mesi prima ha ottenuto a Oslo il massimo riconoscimento come promotore di pace: Martin Luther King.
    L’aspetto più interessante del film è il profilo “domestico” e intimo che ci vien offerto del famoso premio Nobel: il dottor King nella sua veste ufficiale, Martin come lo chiamano gli amici e i famigliari. Una figura pubblica autorevole, ferma, con un carisma innato nel trascinare le folle. Una voce sicura che lancia messaggi che arrivano al cuore di chi ascolta perché riesce a passare dalla razionalità, nel denunciare le ingiustizie, all’emotività creativa, e fantasiosa delle figure poetiche presentate senza retorica. Una capacità di mettere sintonia nell’uditore i due diversi emisferi del cervello.
    Ma se l’immagine popolare del personaggio è quella di un leader capace di sopportare conseguenze penose e critiche per le decisioni prese, il Martin dell’intimità si manifesta stanco, provato, a volte deluso e in certi casi dubbioso sulla bontà sociale delle scelte da operare. Interiori incertezze che nascono non tanto da un timore egoistico, ma dalla possibili conseguenze che potrebbero ricadere sulla collettività. Ed è proprio questo il bello: scoprire l’umanità fragile di un uomo che ha cambiato un pezzo della storia americana, ma che aveva i ripensamenti dei giusti, quelli con una coscienza che si interroga cercando il bene comune.
    L’aspetto domestico di King, spesso ambientato in tempi notturni, viene sostenuto da due vicinanze. Quella dell’amata moglie, paziente, rispettosa e mai giudicante e quella di un Dio a cui il “profeta” coraggioso (creduto potente) si affida nei momenti di debolezza.
    La presenza costante di un sostegno reciproco tra coloro che lottano, in modo non violento, contro le ingiustizie è la forma di carità più evidente nella pellicola, non tanto i risultati importanti di questa lotta contri i mali sociali. Non si deve cadere nell’errore, denunciato dal Concilio Vaticano (proprio nello stesso anni in cui avvenivano le vicende di Selma):
    “Non avvenga che si offra come dono di carità, ciò che è già dovuto a titolo di giustizia”.

    Enzo Riccò

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