MARTEDì 1 DICEMBRE 2015
di Pasquale Scimeca. Con Marcello Mazzarella, Vincenzo Albanese. Italia 2014. 90’
«Il film narra di Biagio Conte, del suo percorso di vita, delle sue scelte radicali e rivoluzionarie che ne hanno fatto un uomo giusto, uno dei pochi uomini giusti che ancora abitano questo pianeta.
“La gente moriva per strada, la violenza e la paura era impressa sulle facce e sulle cose, e l’unico Dio era il denaro. Tutto questo mi feriva profondamente e mi faceva star male, e il non poter far niente mi angosciava... Ma consentimi almeno di non essere complice di tutto questo male!”. Per questo Biagio ha lasciato gli agi della sua giovinezza e se n’è andato sulle montagne dove ha vissuto da eremita, nutrendosi di erbe e bacche selvatiche. In solitudine ha ritrovato l’armonia con se stesso e con la natura. In solitudine ha iniziato a sentire quel bisogno di spiritualità (che la “civiltà del consumismo” ha espulso dal cuore degli uomini) e a cercare Dio.
E l’ha trovato Dio, l’ha trovato attraverso la mediazione di San Francesco. Dopo un viaggio a piedi fino ad Assisi, ritorna a Palermo e si ferma alla stazione dove per anni vive e assiste i “barboni”. Li lava, li nutre, li cura, si carica sulle spalle “il dolore del mondo offeso” dà loro dignità e speranza, li chiama “fratelli”.
E i “fratelli” diventano sempre più numerosi, e la stazione non basta più ad accoglierli tutti. Inizia così un nuovo cammino: occupa l’ex disinfettatoio di via Archirafi da anni in abbandono, e fonda la Missione di Speranza e Carità. Attorno a lui cresce la solidarietà della gente e la Missione diventa sempre più grande, e le persone che vi vivono sempre più numerose.......
Come raccontare tutto questo? Perché raccontarlo ? Biagio non voleva che io facessi questo film, in cuor suo aveva paura di commettere un peccato d’orgoglio, ma alla fine si è convinto e mi ha detto: “Se Dio vuole te lo farà fare questo film!” Io, purtroppo, non ho ancora il dono della fede, ma una cosa è certa: i giorni passati alla Missione in compagnia di Biagio, hanno cambiato la mia vita.» (Pasquale Scimeca)
Ciao a tutti ecco la
recensione del nostro bravo Enzo Riccò;
speriamo che questa rassegna
sia stata gradita e interessante, ci farebbe piacere avere qualche parere anche
da parte vostra ed eventuali suggerimenti per offrire nuove occasioni di
incontro, riflessione e conoscenza attraverso questo splendido strumento che è
il cinema.
Il cammino mistico di frate Biagio
La
pellicola di Pasquale Scimeca, del 2015, presenta la figura di Biagio Conte,
eremita siciliano, fondatore della “Cittadella
del povero” che ospita nella città di Palermo centinaia di persone
bisognose di aiuto.
Questo
film, proprio per la sua valenza fortemente simbolica, espressa essenzialmente
in immagini e in pochissime parole, credo si possa interpretare come un cammino
mistico contrassegnato da tappe. Un’esperienza riconducibile facilmente a
figure famose, quali il santo di Assisi e la giovane Teresa del Carmelo di Liseux.
Il
percorso catartico del mistico è difficilmente descrivibile con i linguaggi
della logica e il regista usa delle sequenze filmiche per contrassegnarne i
passaggi.
Se
ne possono scorgere almeno otto, dai primi sintomi di trepidazione interiore,
all’impegno massimo di donazione fraterna. Cercherò di elencarli così come si
possono intravedere nella trama narrativa.
“Prima tappa: l’inquietudine”. Il nostro personaggio vaga per i boschi. Tormentato
da un malessere interiore che lo rende inquieto e insoddisfatto, è quasi
nauseato dall’ipocrisia e dal male che lo circonda. E’ interessante notare che
non c’è ancora una vocazione religiosa, nessuna esperienza riconducibile ad un
richiamo esplicito del trascendente; solo una forza che lo spinge fuori, oltre,
al di là del vissuto quotidiano.
“Seconda tappa: la spogliazione”. Tutto ciò che appartiene al passato è abbandonato. La
spogliazione reale tra i faggi della foresta siciliana esprime l’abbandono
delle sicurezze del passato. E’ nudo sotto l’acqua che lava delle certezze
oramai considerate insignificanti.
“Terza tappa: la contemplazione”. Biagio ha un contatto fisico con gli elementi della
natura che sembrano parlargli. Il fuoco, la pioggia, il vento e la terra che
annusa e quasi assaggia. C’è una immedesimazione con il creato. Una
identificazione umile e appagante dell’uomo con l’humus.
“Quarta tappa: il tocco di Dio”. Per espressione e coinvolgimento emotivo, potremmo
definire questa tappa come quella dell’innamoramento. La percezione della
vicinanza di Dio è oltre il pensiero; è viscerale, coinvolgente e sconvolgente
allo stesso tempo. Gli occhi guardano le
cose e soprattutto le persone in altro
modo. Si intravede tutta la tensione emozionale, quasi sensuale, che va dal Cantico dei Cantici al Cantico
delle creature di Francesco.
“Quinta tappa: la notte”. E’ il silenzio di Dio o come direbbe Santa Teresa:
“La profonda notte dell’anima”. Dopo aver provato la pienezza dell’intimità,
Biagio sperimenta il vuoto spirituale. Supplica, piange, invoca un Dio che
sembra non parlargli più. Si accascia sfinito e si abbandona al gelo della neve
che lo avvolge.
“Sesta tappa: la sofferenza”. Al male interiore spirituale si aggiunge, così come è
stato per molti mistici, una sofferenza nella carne. Biagio è costretto, per
uno schiacciamento vertebrale all’infermità sulla carrozzella. La creatura
amata e toccata dai vertici dello Spirito si trova in uno stato di prostrazione
totale.
“Settima tappa: l’abbandono e la pace”. Il tempo della massima umiliazione è seguito, dopo la
lotta spirituale contro il muro dei silenzi di Dio, dall’unica e umanamente
insensata possibile scelta: quella della resa. Nell’abbandono fiducioso, armato
solo di speranza, Biagio ritrova la serenità interiore.
“Ottava (e ultima) tappa: la carità”. Questo percorso, fatto di salite vertiginose e ferite,
anche umilianti, sfocia in un desiderio irrefrenabile di donare e donarsi. Una
spinta che non conosce i limiti del buon senso o della saggezza. Biagio riesce
a realizzare a Palermo un centro di aiuto, ancora oggi attivo, che ospita più
di cinquecento persone in cerca di aiuto.
Significativamente
riassuntiva dell’intero film è la scena della risposta alla chiamata di Dio.
Fratel
Biagio, da vero pellegrino con la bisaccia vuota, arriva ad Assisi. Nel mezzo
della Basilica superiore, nel vortice della bellezza pittorica di Giotto, si
corica faccia a terra stendendo le braccia sul freddo pavimento. E’ la totale
consacrazione di se stesso a Dio.
Enzo Riccò
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